Un paio di settimane fa siamo andati al cinema dopo un lungo letargo, una separazione semi forzata dovuta ad un 25 % di pigrizia e la restante parte per la siccità cinematografica in cui siamo piombati. La scelta è ricaduta sul quello che è stato descritto come "un piccolo grande capolavoro strappalacrime". Le avventure, l’amicizia e l’amore di un cassettone di giocattoli lasciati al loro destino e alla loro coinvolgente vita, dopo la crescita inevitabile (assai tardiva) di un collegiale americano: Toy Story 3.
Il film non mi è del tutto dispiaciuto, anche se devo ammettere che i valori descritti; alquanto utopici e scontati, mi hanno creato un impasto di emozioni strane tra la tenerezza e il distacco disilluso di chi è ormai cresciuto. Non abbiamo visto i precedenti capitoli, ma i personaggi e la trama di fondo sono semplici da inquadrare (ricordano tanto i reperti imbalsamati o i modellini di Una notte al museo) alcuni però spiccano: il telefono di plastica impossessato in modo inquietante dal nostrano Gerry Scotti, la barbie poco snodata che ognuna di noi ha vestito, seviziato e rapato a zero solo per diletto, e un orso, un orso rosa fragoloso, un orso dal muso dolce e dagli occhi comprensivi: Lotzo.
Lotzo è il capo della baracca, è colui che accoglie, coordina, smista, in una sola parola il boss. È il saggio buono che presenta le meraviglie del nuovo mondo, addolcisce la pillola mentendo sulla sorte e sull’abbandono, è la persona di cui ti fidi, che ti abbraccia appena arrivi. L’apparenza innocua ne fa il compagno di giochi preferito, la sua stretta incoraggiante e mansueta lo rende un infallibile rubacuori, un fidato dolce rifugio a cui i personaggi si affidano, credono e proprio da lui verranno traditi. Un insospettabile aguzzino dal profumo invitante e goloso, un peloso concentrato di cattiveria all’apparenza gratuita e implacabile, che però cela un passato di dolorosa sofferenza e bruciante delusione, è proprio la sfiducia e lo sconforto di fronte al buono, all’affettività che lo rende cattivo, ne fa un astuto manipolatore.
E’ l’invidia dell’amore che lo ha indurito, un’invidia che non è solo nei cartoni, un sentimento che i bambini è bene imparino a riconoscere presto. Lotzo è stato abbandonato dalla sua bambina del cuore, uno sfortunato evento ha diviso da lei non solo lui ma anche i suoi colleghi giocattoli. La determinazione nel volerla di nuovo raggiungere e poi la cocente realizzazione del rimpiazzo emotivo e fisico,( tutto suo, perché i suoi colleghi non sono stati riacquistati) ne fa una creatura egoista, che se non può avere il suo bene lo preclude anche agli altri per la paura di sentirsi solo in questa fregatura che il fato gli ha riservato.
Di orsi fragolosi ne pieno il mondo, li vedi aggirarsi intorno a te, avidi di attenzioni che spargono cattiverie, pronti a godere di ogni altrui sconfitta, si sentono realizzati perché nella loro infelicità vedono all’orizzonte un compare, senza capire che sarà proprio questa mossa ad allontanarli ancor di più da tutti. Sono i fidanzati, mariti o padri che uccidono il loro bene prezioso, perchè sfuggito dalla loro stretta sempre più soffocate non vogliono che sia più di nessuno.
Nel’epilogo l’orso Lotzo riesce a mettere tutti sulla sua barca, e mentre si avvicina all’inceneritore, approfitta dell’amicizia riconquistata degli altri toys per potersi salvare, ma poi all’ultimo gira le spalle e abbandona il carro per essere il solo a vincere, per dimostrare a tutti che lui è il più forte e non ha più bisogno di nessuno. Il finale, come nelle più classiche favole lo punisce, infatti lo condanna all’inferno, diventando uno degli altri trofei in mezzo ai suoi simili, e ritorna a pagare di quell’apparenza vuota da rimpiazzare.
I buoni vincono sempre? Siete pronti ad uccidere il Lotzo cattivo che è in voi e vivere pacifici nella società ideale, o meglio abbracciarne a pieno la sua filosofia e tentare la conquista del mondo?
Troppi interrogativi … per un semplice cartone animato…
Nessun commento:
Posta un commento