lunedì 29 novembre 1999

Aver fede ...nel linguaggio

La via della fede e della salvezza è davvero al passo con i tempi, i metodi di “evangelizzazione” devono adattarsi al mercato, se il target cambia anche la comunicazione deve obbligatoriamente cambiare, bisogna trovare nuovi modi per veicolare il messaggio!

Non sto parlando certo dei cattolici, che ormai in quanto metodologie di conversione sono lontani anni luce, ma di una categoria di credenti forse più attiva, conosciuta in ogni continente per le abilità oratorie e la perseveranza dei propri metodi di persuasione;  ancora una volta i Testimoni di G.  mi hanno stupito.

Lo so sto toccando un argomento delicato, rischio di inimicarmi molti,  perché con Dio non si scherza e sono consapevole che il rispetto di ogni forma di credo e devozione deve essere sempre garantito, ma quello a cui ho assistito oggi, in quello che ormai per me è un “luogo-laboratorio di transito-transumezione” (meglio conosciuto come l’autobus n°92) ha del sorprendente.

Immersa nella mia nuova lettura, un bel romanzo giapponese scritto da un coraggiosa autrice del 1931, una voce inconsueta mi ha improvvisamente distratto e catturato,  parlava una lingua complessa e ritmata, sulla 92 i dialetti e  le lingue degli altri popoli sono davvero la normalità, non ci si fa assolutamente più caso, ma in quello c’era qualcosa di fastidiosamente cantilenante e forzato, così ho alzato gli occhi ed ecco accanto a me una ragazza dai capelli rossicci e la pelle bianchissima (oddio scivolo nel razzismo) che parlava in modo concitato e un pelo supponente ad una ragazza senegalese, giuro che sembrava stesse recitando un copione, sorrideva,  sgranava gli occhi, chiedeva, esortava, all’inizio pensavo a due amiche che si scambiano favori, del tipo:  io faccio pratica con te conversando in italiano e tu…mi fai ripassare il senegalese*…ma poi ho capito, il disagio e l’espressione  di panico della ragazza che ascoltava senza parlare mi ha illuminato, all’improvviso il concedo, una calda stretta di mano e in dono il fatidico libricino. Non ci crederete ma a quel punto la ragazza senegalese, finalmente libera,  ha sorriso nervosamente  e mentre le due si allontanavano preoccupata si è affrettata a controllare la sua borsa. Cosa mai le avevano detto?

L’incontro mi lascia alcuni raggelanti dubbi, o la via della conversione è ancora molto lunga perché su tutto vince l’indifferenza e il sospetto oppure anche se si forza di intraprendere nuove difficili sfide deve ripassare meglio la grammatica  senegalese *!


*nd  Il senegalese non è una lingua, il Senegal annovera un ventina di varianti;  tra cui il wolof, pulaar, il sereer, il mandinka, joola, soninkè… non so quale delle tante la cara predicatrice stava praticando, e non sono proprio certa che la ragazza in questione provenga davvero dal Senegal, ma penso che sia un esempio calzate in quanto complessità, rarità di conoscenza, pratica e padronanza.

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