lunedì 29 novembre 1999

Le domande e i finti arrivederci.

il mestiere di scrivere
Pagine vuote. fonte google.


Che fine faranno gli scrittori se non avranno più storie da scrivere, se gli sarà negato l’esercizio del sentimento e delle passioni.

Che ne sarà di loro quando gli tapperanno gli occhi, le loro dita sapranno esprimere solo l’angoscia di un mondo povero e lontano nel ricordo.
Soli senza lo schermo del cosmo da documentare, stanchi senza pensieri da condividere, esauriti e stranamente miti.

Cosa ne faranno di loro se prosciugate le parole li nasconderanno alla vita. Morte senza linfa, le loro dita inerti e gelide.

Stanche e tradite le mani e il cuore. Come amanti che non hanno più amore. Come musici senza strumenti.

Per un po’ hanno sognato frasi, paragrafi e interi capoversi. Per un po’ hanno sostato sull’orlo delle pagine, fissandole sempre vuote, sempre uguali.
Con gli occhi lucidi e le braccia immobili, stanchi e soli gli scrittori dicono addio al mondo del dentro e del fuori. Negano la loro presenza ormai inutile.
Inoperosi tornano a essere vuoti oggetti e non strumenti meravigliosi del creato.

 

Questione di chiavi...

macchina da scrivere
 Macchina da scrivere: fonte google

Nel mio lavoro le keword, ovvero le parole chiave, sono "oggetti" da lavorare, le montiamo, smontiamo, lucidiamo e sagomiamo,  nel vero senso della parola le forgiamo.

La parola prima di ogni altra cosa deve essere ricercabile, significante, esauriente e appropriata, deve rispettare un codice molto preciso, ma variabile: vale la regola del sinonimo, si può coniugare nelle sue varianti, puoi accoppiarla con congiunzioni e cotillon.

Vince chi azzecca il giusto mix, la combinazione perfetta.
La parola è al centro di tutto, attorno alla keword ruotano tante altre parole gemelle, sosia o insignificanti comparse. Dato che amo gli esempi...eccone uno:

Immaginate che la  Key frase sia “abito da sposa” , è l’abito il principe, le calzature da cerimonia i paggetti, strascico e guanti i comprimari; tutti sono invitati alla grande festa: gli sposi ovviamente, i confetti, le bomboniere e ogni accessorio che si rispetti è ben accetto, quelli che “trasformeranno il giorno più bello della vostra vita in un ricordo indimenticabile”, tutto per promuovere il prodotto legato all’azienda, il negozio, lo showroom.

Ogni cosa sembra al suo posto, tutto armonicamente perfetto, salvo scoprire che il matrimonio è un farsa, gli sposi non si amano davvero,  l’orlo del vestito si scuce ad ogni respiro, e il sarto in realtà è un impiegato di fabbrica scontento che fa merletti in serie, e abita in un paesino cinese,  il made in italy che hai appena citato è stato aggiunto solo dopo, sul bordo della zip, in uno scantinato umido di periferia.

Le parole molte volte mentono, fingono, si travestano, si fanno belle e cerimoniose solo per attirare il tuo sguardo, si alleano per portarti in fondo alla riga e mai si pentono del loro inganno. Le parole fanno solo il loro sporco lavoro. Sono le chiavi che aprono una stanza con dentro un'altra porta, un'altra serratura d’aprire…e così via.
Quanto sei disposto a spendere per arrivare fino alla fine? Se c’è una fine?

Fatti stordire anche e tu dall’amore

Le persone s’innamorano, sì può sembrare un’ovvietà ma qualcuno lo crede davvero impossibile, scambiandolo per  qualcosa di più complesso e romanzato lo snaturano e lo sottovalutano, scottati dallo sconforto di un sentimento vero, fin troppo vivo guardano con sospetto ogni piccola grandiosa azione nata da esso.
L’invidia li consuma ma non sono i soli in questo penare,  consuma anche chi ama è non è corrisposto, chi lo fa da tanto tempo ma vorrebbe azzerare la routine rifugiandosi nella fresca brezza dei ricordi di quei primi  baci, la prima carezza, la prima passeggiata mano nella mano.

La gente s’innamora, lo fa ogni secondo, si innamora di altre persone, ma anche di cose, idee e  ideali, s’innamora delle illusioni che agitano la nostra vita, di quei bei pensieri ancora ripiegati che sanno di lenzuola stese e di bucato, perché noi ci innamoriamo di un angolo perso della nostra città,  sorpreso mentre alziamo gli occhi distrattamente sull’autobus, ci innamoriamo di quella canzone struggente che ci fa vivere le nostre paure e ricordare che sono solo tali, ci innamoriamo dei nostri genitori perché a tratti comprendiamo il loro mistero, proviamo amore e tenerezza per chi ci ricorda noi stessi anni fa, buttati su una panchina del parco a leggere i libri per la tesi o per gli esami, scoviamo l’amore e l’amore scova noi, ci sorprende e ci facciamo fregare ancora…


Anche se pensi che non ti tocchi più quel brivido torna, e ti gira la testa come in una giornata di vento forsennato e testardo che ti fa cambiare direzione e ti stordisce al punto giusto…


...quel sentimento divenuto film ma fin troppo reale...






La parola di oggi è intolleranza, sentimento obliquo che tutti scoraggiano, deprecano e scansano additandolo condannandolo, ma che intimamente provano o hanno provato. L’intolleranza:  un forte senso di non appartenenza a quel determinato soggetto, oggetto, situazione, alimento.



 Ciò che rende impossibile l’assunzione, causa ricetto. La mancata affinità a…, la non legittimazione di…, l’intolleranza spinge alla discriminazione, all’esilio, ad atti a volte sconsiderati, violenti, ingiusti, incostituzionali. L’intolleranza spinge alla non accetta zio e di ciò che è evulso a noi, al nostro gruppo razziale, sociale, sessuale…ecc ecc tutto ciò che riteniamo insopportabile.



Questo sentimento è senza dubbio dovuto al’ignoranza per la maggior parte delle volete è dovuto alla ristrettezza mentale, alla mancata empatia tra creature viventi, allo scarso sentimento cristiano, per la maggior parte delle volte l’intolleranza va allontanata, cancellata, deprecata e scongiurata, l’antidoto è la conoscenza, la pazienza e la voglia di comprendere, in campo alimentare le intolleranze vengono combattute con l’assunzione controllata di piccole dosi della sostanza a cui il nostro fisico si ribella, anche se molte volte i risultati positivi vengono penosamente disattesi il tentativo vale sicuramente la pena.



Per tutti gli altri casi l’intolleranza non può essere curata, ma va assolutamente stimolata, io stessa sono intollerante a molte cose e (purtroppo) persone, al fumo, ai soggetti estremamente maleducati, alle persone dallo scarso rispetto per gli altri, a chi egoisticamente vive la propria esistenza all’ombra dei propri bisogni, a che schiaccia gli altri per il proprio benessere e a chi fa dell’ignoranza il suo vanto e prestigio. Sono intollerante all’intolleranza,e l’intolleranza è intollerante a me…



Che fare allora per uscire da questo circolo vizioso che rende l’esistenza malsana? Ribelliamoci all’oggetto e al soggetto intollerabile con calma, intelligenza e pazienza unita ad un innocente pizzico di umanità compassionevole, combattiamola con le armi che teme di più: l’intelletto di cui è in difetto e l’indifferenza.



Oggi, domani e sempre stimoliamoci a crescere sperando di non diventare noi stessi il prodotto intollerabile, per alcune persone la strada è davvero in salita, una scalata che nemmeno si preoccupano di iniziare.



Chissà se sta leggendo questo post e magari si accorge di quel che suscita? L’egocentrismo di cui è afflitta la renderà più felice per l’importanza data, perché infonde nell’altro un sentimento vero e vivo, uno e  uno solo però ; questo, nauseabondo e rigettante.

Due spiedini e una birra...

Eccoci di nuovo qui dopo 15 favolosi giorni passati in panciolle a non far nulla davanti sotto l’ombrellone con il mare a far da schermo ad un favoloso film, fatto di sole, scene ridicole a bordo sabbia, coccole e posti nuovi da visitare, immortalare e filmare con gli occhi e con la nostra super  telecamerina compatta (gioco nuovo,  regalo di anniversario/stordimento da cineasti in vacanza).

Eccomi qui, con le mie dita pigre che non riescono più a riconoscere i tasti del pc, domani in ufficio ci metterò 3 ore per una frase, tutta stordita per il jet leg, flip flap e il check in out; pensare che poche ore fa eravamo spaparanzati a non domandarci nulla, come se non dovessimo tornare mai in questa città afosa e malsana, progettavamo gite in montagna e al mare pur di mentire a noi stessi sul rientro :( e poi anellati come polli in batteria  con il cordino flou bucherellato al polso, ancora con le infradito insabbiate siamo saliti sull’aereo del ritorno, che sconforto, che tristezza, mi vedo già bianca,e io che pensavo la mia abbronzatura durasse qualche ora e invece … sarà la pressione sotto zero, lo sgocciolamento dovuto all’umidità soffocante , ma mi sento come se mi fossi appena svegliata dopo un notte tempestosa. Che sogno strano, che shock!

Ho deciso di far finta di essere in vacanza ancora un po’ … progettando la prossima meta scarto i souvenir, smonto valige e borsette, e mi spalmo il doposole per sentire ancora il profumo del mare vicino … ecco ecco riesco a ascoltare le onde e gli schiamazzi … ah no sono i vicini barbari del terrazzo e il solito Pato chiwava bastardello dalla gola rasposa che più che abbaiare rantola per la troppa solitudine dovuta alla non curanza delle padrone barbone e cafone.

Domani si ricomincia il giro e inizia il solito count down al week end… meno 7, meno 6 …meno….

odio e amore


Come avrete capito, il mio con i trasporti pubblici milanesi è un rapporto di odio e amore, li odio perché perennemente in ritardo, affollatissimi,  sporchi e ultimamente allagati, li amo perché nel loro cullare posso godermi la mia città come al cinema, e nelle ore interminabili in coda mi posso abbandonare a un bel libro e ottimizzare il tempo,  posso origliare e conoscere i miei concittadini, entrare nelle loro vite anche  solo per un secondo e rincontrare un sacco di conoscenze. La lista delle cose che amo  è nettamente più lunga, in una città dove ogni milanese ha almeno una macchina a testa (anche se ha 2 anni) e molte volte ne ha addirittura due, i mezzi pubblici sono per i poveri, i lavoratori pendolari  e i pensionati a cui hanno revocato la patente? A giudicare dall’affollamento potrebbe essere così …o il numero delle vetture è nettamente insufficiente.
 
Con Atm arrivi sempre in ritardo anzi non è detto che arrivi, potresti essere deviato su un  itinerario a sorpresa.  La Milano che corre sempre, anche nel we,  deve avere pazienza buddista se decide di salire in vettura, abbandonare lo stress , e arrendersi al lento ritmo  del tragitto. Così faccio io.
Non ho la macchina da molti anni, la mia non è stata certo una scelta, ma non ne facevo un uso smodato neanche allora, ora mi faccio scorrazzare la sera dal mio fidanzato (suo malgrado) e di giorno mi tengo in forma e informata con i mezzi pubblici della mia città, corro dietro i tram, faccio squat e pilates in bilico sui tacchi ad ogni frenata, alleno i bicipiti appesa alle maniglie, medito e respiro ( se l’ascella del vicino lo permette) leggiucchio quotidiani, apprendo preghiere in lingue diverse, sbircio trame di romanzi rosa, e ascolto i drammi telefonici di una mamma isterica, mi rattristo al racconto del signore che lotta per il suo lavoro, rido alle boccacce del bimbo che si contorce sul sedile.

Io rinnovo l’abbonamento come si fa con il teatro o la palestra, pago anche se non sono pienamente contenta, perché come dice la nuova campagna: “atm unisce Milano” nel bene e nel male, aggiungo.
 
 
Vivere davvero la città, incontrare chi ami o semplicemente muoverti senza pensieri …
Usa i mezzi e vivi milano.


(campagna ATM 2010)

Tu di che solitudine sei?

Abbiamo ripreso le nostre buone vecchie abitudini: martedì cinema!! :)
La sala semivuota, il biglietto ridotto, le novità, la bacinella di pop corn; quanto ci piace questo rituale!
Che vedere? bè ovvio, il vincitore, il contestato, controverso, osannato e deprecato Somewhere.
Staccato il biglietto, buio in sala e già dai primissimi minuti sprofondiamo nell’abisso delle solitudini, le tante solitudini, i silenzi e le sua miriade di sfaccettature.

La solitudine inutile, quella che ti fa girare attorno per ore, sgommando con la macchina in curva, fastidiosa e insulsa, che fa sprecare i minuti e le gomme, ti consumi sulla strada immerso nel nulla, perdi la concezione del tempo e lo spazio, vai verso il niente più assoluto, niente meta, solo strada.

Poi c’è la solitudine imbarazzante quella che mette a disagio, soprattutto tu che assisti, ti nascondi  sulla poltrona, perché quel silenzio, mentre sullo schermo non succede quasi nulla, la solitudine così ben girata ti fa sentire quasi in colpa, ti ci ritrovi in quell’attesa, senza speranza, senza pensieri…una tirata di sigaretta e un sorso di alcool, così all’infinito e poi lo stacco. Non è accaduto nulla?

La solitudine quasi comica e surreale delle gemelle lapdancers  "pseudo adolescenti, uguali uguali nei vestiti e nei tatuaggi, che volteggiano e ammiccando con sterile sensualità, in attesa dell’approvazione di un padre come al saggio di fine anno, la copia troppo finta di quello che seguirà, quello della vera figlia che con i pattini incanta e non fa addormentare. Uno confronto duro che fa apprezzare ancor di più questa impercettibile trasformazione, il passaggio dal nulla al tutto: dal letargo larvale alla vita vera,  quella pratica. Una volta che si è usciti dal silenzio di una solitudine scomoda e insulsa e si è provato il silenzio pieno di significato è difficile rinfilarsi nei vecchi panni stretti.

Si può essere soli in tanti modi, questa condizione è spesso proficua e utile, perché è proprio in questi momenti apparentemente inutili, inattivi che avviene il miracolo impercettibile della crescita, della germinazione di quel tutto che sembra poco, un briciolo di "normalità" che basta a spingerci a scendere da quella macchina che continua a girare a vuoto e che non ci porta da nessuna parte.

A Milan nun si sta mai coi man in man (manco di domenica) Parte 2.

…usciti da Sant’Ambrogio dall’entrata laterale abbiamo costeggiato il Monumento ai caduti, imperioso e inaccessibile, almeno in quel giorno. 
Il sole stava già impallidendo quando riprendendo Corso Magenta abbiamo passato Palazzo delle Stelline per avvistare Santa Maria delle Grazie, bella nella sua struttura di mattoni rossi, tonda e perfetta come una madre, appunto, patrimonio dell’umanità protetta dall’Unesco. Le bellezze interne della basilica purtroppo non sono visibili, colpevoli interventi di restauro e il vespro che incombeva minacciandoci, quindi con il giusto rispetto siamo usciti per tentare un altro colpo:  imbucarci all’inaccessibile Cenacolo Vinciano, visto da piccolissima per soli 5 minuti, l’accesso è programmato e si può sostare all’interno solo un numero massimo di tempo, ha lasciato in me un ricordo vago e fuggevole, forse per la mia ingenua immaturità infantile.
Il cartello sold out e la simpatica signorina che ci ammollava il bigliettino per la prenotazione ci ha fatto ricordato che siamo pur sempre a Milano  e che tutto è in prevendita, prenotabile  con carta di credito comodamente su un sito internet, quindi click ciao ciao Leo...o meglio a presto!!
 Ormai al tramonto ci siamo tuffati per un soffio nella fantastica Sagrestia del Bramante, attigua alla chiesa, ad aspettarci i disegni originari del Codice Atlantico, e un favoloso porticato dipinto, quanto avrei dato per estorcere alla guida una descrizione accurata di quelle vedute.
Stanchi ma felici, circondati da arte e bellezza ci siamo abbandonati sotto la volta stellata della sagrestia, ornata da finissimo intreccio di nodi leonardeschi, simbolo dell’infinito assoluto;  quale splendida conclusione per un pomeriggio così  intenso, completamente regalato dalla nostra città, un po’ meno la solita Milano, usurata e sempre uguale, questa volta preziosa, accogliente e inattesa.

monumento caduti milanesi

A Milan nun si sta mai coi man in man (manco di domenica) Parte 1.

A Milan nun si sta mai coi man in man (manco di domenica) Parte 1.È un po’ che non scrivo, lo so. Diciamo che è colpa per un 40% della mancanza di tempo, l’altro 40 per penuria d’idee e un buon 20 per paura di tirare fuori sempre le stesse cose, i mezzi, la gente, il lavoro, la creatività, i giornali …hahhaahha …insomma la mia vita.
Banale per banale perché non spifferare per bene una bella giornata passata, la condivido con voi ..o a te che sei lì a leggere (chissà perché) le parole di una sconosciuta, o magari un’amica, o più una conoscente …insomma…le mie.
Ecco il resoconto di un pomeriggio da turisti nella nostra Milan’, precisamente domenica scorsa, seconda giornata di blocco auto, che per un milanese medio vuol dire arresti forzati, delirio, panico e molto spesso secchezza delle fauci, per noi motivo di quiete e stimolo a usare i piedi.
Approfittando della calma apparente calata sulla città, scenario irriconoscibile visto solo nel film "L’ultimo uomo sulla terra", siamo usciti in un sole pazzo di un febbraio primaverile. Occhiali sul naso e biglietto del tram in mano siamo saliti su una vettura insolitamente stracolma per essere domenica.
Direzione centro, precisamente Pinacoteca Ambrosiana, uno dei luoghi d’arte più importanti e preziosi della città, che apriva le sue porte ai cittadini scrocconi che approfittando del costo del biglietto pari a 0 si sono riversati festanti nell’atrio del palazzo storico, intasandolo e rendendo di fatto impossibile la nostra visita.
Per nulla scoraggiati ci siamo diretti alla Sacrestia del Bramante, ingolositi anche noi dall’offerta gratuita, quindi passando per Piazza Affari, abbiamo sbirciando senza l’originario stupore il dito di Cattelan, ormai inserito nel contesto urbano …quale simbolo di paraculismo finanziario, e abbiamo proseguito per Corso Magenta. Sbirciando in un cortile di fronte Palazzo Litta abbiamo scoperto tra capitelli romani e reperti, il Museo archeologico; Milano non sembra una città archeologicamente molto  interessante, eppure …lo sapevate che è ricavato in un convento del VIII secolo d.C, e che dal giardino interno si può accedere a una torre circondata dalle antiche mira del circo romano, gli affreschi al suo interno sottili nella loro patina di colore a vista ci fanno capire quanto sia fragile il nostro passato.
Dopo il tuffo nella storia abbiamo ripreso Corso Magenta, deviato per via Agnesi, diretti verso l’Università Cattolica meta Sant’Ambrous, Ambrogio per i non meneghini.
Prima di visitare la Basilica ci siamo lasciati tentare da Arnold’s caffe in via Nirone, saranno state le donuts, e il bicchierone a portar-via di caffe, ma per un attimo ci è sembrato di essere in una capitale europea o estera a caso…hahahahah vedi uno Starbucks qualsiasi. Appesantiti dalle calorie ed euforici grazie all’overdose di zuccheri   siamo arrivati all’entrata laterale della chiesa, tra colonne, simboli e santi abbiamo schivato i fedeli per scendere nella cripta e rendere omaggio al patrono di Milano: Ambrogio, che con Protasio e Gervaso, santi anche loro, riposa tranquillo sotto l’altare. Da piccola ero già stata in visita e mi ricordo che alla vista di ciò che rimane del corpo, con i suoi paramenti mi aveva  impressionata parecchio, questa volta a impressionarmi è stara una turista spagnola che ha posato 2 ore per un servizio fotografico accanto alla povera reliquia…che si fa per farsi ritrarre con qualcuno d’importante.


...Continua.

Un tuffo dove l’acqua è più blu?

Chi mi conosce davvero sa che periodicamente combino disastri, non è che sono pasticciona è che per impulsività, distrazione o foga combino piccoli  e medi  guai.

Lo hanno capito subito i miei genitori quando a pochi mesi ho iniziato a svitare le viti di tutti gli oggetti di casa con l’unghia del mignolino, una Mcgaiver in mignatura che si infilava conchiette nel naso per imitare gli aborigeni visti in tv, o faceva graffiti rupestri su tutta la tappezzeria della sala, il mio tentativo di fuga  dal lettino a sei mesi esatti aggrappata alle tende e il conseguente volo di testa sul pavimento hanno decretato la mia incoronazione a regina combina guai di casa, motivo per cui molto probabilmente sono figlia unica…

Veniamo alla mia ultima impresa, 20 giorni fa ho comprato uno smartphone dai toni shock, precisamente rosa flou, il colore non è nelle mie corde ma era in offerta e lo puntavo da tempo, ribattezzata Samantha (vedi assonanza alla marca e al personaggio di Sex& the City) si era guadagnata  a poco a poco la mia stima e affetto stupendomi con le sue mille funzioni e pregi e poi…Venerdì 30 dicembre 2010, pochi minuti alla partenza per i monti, una manciata di ore al nuovo anno, la tragedia.
Ecco che il mio istinto da casinista si risveglia: assonnata e di fretta, corro nella stanza da bagno portando la fedele Samantha con me, l’intenzione  era controllare le ultime news,dalla mia”postazione privata”, ma  a pochi centimetri dalla meta…il tuffo,  è stato un attimo, un infinito attimo di terrore, come nei film dove tutto rallenta e tu vedi la fine ma non puoi farci nulla.

Ore 8.00 di venerdì 30 dicembre, l’immagine de mio cellulare rosa che suona dentro la tazza del water rimarrà impressa nella mia mente per sempre.
Sono una gran casinista sì sa…e adesso lo sapete anche voi, per fortuna ( o meglio per  miracolo) Samantha si è ripresa e funziona meglio di prima, quale insegnamento trarre da tutto questo?
Anche se finisci nel cesso l’importante e rialzarsi sempre? Chi nasce pasticcione lo rimane?

No, più semplicemente: TIENI LONTANO IL TUO CELLULARE DAL BAGNO!! SOPRATTUTTO SE  APPENA COMPRATO.

Ma questa è roba passata! Buon inizio anno a tutti!:P

Bigmouth Strikes Again

Da un po’ di tempo mi sorprendo a fare  un esercizio, che per ora  sortisce scarsi risultati, devo ammetterlo. La cosa è molto semplice;  consiste nel porre un filtro tra quello che penso e quello che dico, mi spiego, il mio non è proprio un atteggiamento finto, non ha un intento recitativo o falso, è più un eccesso di sensibilità. Quando il pensiero incriminato si forma e sento che sta per diventare frase, trattengo il respiro e penso:  “ok, questo servirà a migliorare i rapporti con questa persona? una volta che questa frase sarà pronunciata che risultato otterrò? producente o …controproducente?”

L’esercizio è sono alle fasi iniziali, mi ci vorrà un po’ di tempo per perfezionare la tecnica e anche quando riuscirò pienamente a padroneggiarla non sono sicura che sortirà in me e negli altri risultati soddisfacenti.
È bene censurare se stessi? In molti casi, anzi la buona parte di essi è davvero “cosa buona e giusta!” si evitano tanti malintesi e malumori, ma per altri questa limitazione è come una cintura troppo stretta, ti costringe a trattenere il respiro, la tua figura sembra più sottile ma a lungo andare sopraggiunge il  mal di stomaco, cedi e strabordi …mamma mia che immagine.

Tutte le domande dettate da eccesso di curiosità, le occhiate indiscrete, il pettegolezzo forzato, le rivelazioni azzardate sono un pericolo; svelano troppo di noi stessi più che svelare qualcosa degli altri, ci lasciamo scappare alcuni dei difetti peggiori dell’essere umano.
In altri termini, non è che io sia una spifferona, o mi diletti in commenti senza filtro, ma molte volte la cosa sbagliata mi esce proprio nel momento sbagliato. é necessario, essenziale dire tutto, proprio tutto, ADESSO??

Questo ovvio non accade solo a me, ma quando mi riconosco in quel atteggiamento per molti versi odioso,  torno ad esercitarmi nella tecnica…
Che prezzo dobbiamo pagare, per essere brillanti, divertenti, spigliati e allo stesso tempo comprensibili, affidabili e discreti?

Le parole hanno il loro peso, a volte le pronunciamo con una leggerezza estrema e non ci accorgiamo che come macigni colpiscono e lasciano il segno.

“Boccaccia, boccaccia
Boccaccia colpisce ancora”…

The Smiths.

ahi ahi Babooska Babooska Babooska ihai iahi ...


È metà pomeriggio,  siamo nel 1987, una bambina con il caschetto corvino sta facendo merenda con il soldino del mulinoB. davanti alla tv, è intenta a guardarsi la sua puntata di Kiss me licia e anche se ha solo 4 anni sogna il suo rocker dai capelli viola. Sua madre se la viaggia per casa con un spazzolone in mano, cercando di debellare i batteri da ogni superficie della casa con litri di lisoform, l’odore di eucalipto impregna l’aria.  Benvenuti a casa mia! Quella bimba ero io!

Tornano gli anni 80, ritornano nella moda e negli accessori: l’orologino colorato che profuma di tortina, il verde militare e le borchiette.
È proprio vero non si esce vivi dagli anni che 80, ma non è questione di vita o di morte è che ci siamo ancora in pieno,  facciamo solo un po’ di taglia e cuci mixando ma le tessere sono sempre quelle: i colori flou e i materiali plastici, se mi vedete domani con le spalline oversize per piacere abbattetemi!  I fuseux…che sono i nuovi leggings (leggi licenza di mettere le calzamaglie senza la gonna) e  persino il cinema diventa nostalgico tanto da riesumare il povero maestro Miyagi, quello di Karate Kid, leva la cela togli la cela…San, ci avevano già provato con l’E . team, ma gli originali sono sempre meglio delle copie bisogna ammetterlo.

Quindi mentre la nuova LadyMadonna, scandalosamente provocatrice e ambigua ci spacca i timpani con telefoni vari e versi strani, perdiamo le icone del passato, il Re Michael, fonte di tante litigate e accanimenti con mio padre da piccolissima  (volevo esporre il poster in sala da pranzo, ovviamente ha vinto lui) poi il buon Arnold, che ne ha combinate tante ma rimarrà sempre una tenera piccola peste, come dimenticare i nostrani Mike e Vianello.
La televisione è sempre il fulcro della casa ma oggi diventa digitale, molti canali,  tanti gratuiti che però non si vedono, e un infinita lista a pagamento, che invece il segnale lo prendono benissimo. Il paese si deve convertire forzatamente a una tv interattiva che è sempre la stessa;  tetta più tetta meno,  solo che ora le si può gustare anche all’ora dei pasti direttamente nel tg, altro che Drive in!

Insomma, io sniffo il mio orologino multicolor e cerco di ritornare bambina insegnando ad una cinesina di 4 anni  con il caschetto uguale al mio,  il saluto di Mork , il nano venuto dallo spazio che si magnava i gatti come Bigazzi nel febbraio gattaio, ah povero Torakiki…ahi ahi Babooska Babooska Babooska ihai iahi ...

Un orso fragoloso dominerà il mondo?

Un paio di settimane fa siamo andati al cinema dopo un lungo letargo, una separazione semi forzata dovuta ad un 25 % di pigrizia e la restante parte per la siccità cinematografica in cui siamo piombati. La scelta è ricaduta sul quello che è stato descritto come "un piccolo grande capolavoro strappalacrime".  Le avventure, l’amicizia e l’amore di un cassettone di giocattoli  lasciati al loro destino e alla loro coinvolgente vita, dopo la crescita inevitabile (assai  tardiva) di un collegiale americano: Toy Story 3.
Il film non  mi è del tutto dispiaciuto, anche se devo ammettere che i valori descritti; alquanto utopici e scontati, mi hanno creato un impasto di emozioni strane tra la tenerezza e il distacco disilluso di chi è ormai cresciuto. Non abbiamo visto i precedenti capitoli, ma i personaggi e la trama di fondo sono semplici da inquadrare (ricordano tanto i reperti imbalsamati o i modellini di Una notte al museo) alcuni però spiccano: il telefono di plastica impossessato in modo inquietante dal nostrano Gerry Scotti, la barbie poco snodata che ognuna di noi ha vestito, seviziato e rapato a zero solo per diletto, e un orso, un orso rosa fragoloso, un orso dal muso dolce e dagli occhi comprensivi: Lotzo.
Lotzo è il capo della baracca, è colui che accoglie, coordina, smista, in una sola parola il boss.  È il saggio buono che presenta le meraviglie del nuovo mondo, addolcisce la pillola mentendo sulla sorte e sull’abbandono, è la persona di cui ti fidi, che ti abbraccia appena arrivi. L’apparenza innocua ne fa il compagno di giochi preferito,  la sua stretta incoraggiante e mansueta lo rende un infallibile rubacuori, un fidato dolce rifugio a cui i personaggi si affidano, credono e proprio da lui verranno traditi. Un insospettabile aguzzino dal profumo invitante e goloso, un peloso concentrato di cattiveria all’apparenza gratuita e implacabile, che però cela un passato di dolorosa sofferenza e bruciante delusione, è proprio la sfiducia e lo sconforto di fronte al buono, all’affettività che lo rende cattivo, ne fa un astuto manipolatore.
E’  l’invidia dell’amore che lo ha indurito, un’invidia che non è solo  nei cartoni, un sentimento che i bambini è bene imparino a riconoscere presto. Lotzo è stato abbandonato dalla sua bambina del cuore, uno sfortunato evento ha diviso da lei non solo  lui ma anche i suoi colleghi giocattoli. La determinazione nel volerla di nuovo raggiungere e poi la cocente realizzazione del rimpiazzo emotivo e fisico,( tutto suo, perché i suoi colleghi non sono stati riacquistati) ne fa una creatura egoista, che se non può avere il suo bene lo preclude anche agli altri per la paura di sentirsi solo in questa fregatura che il fato gli ha riservato.
 Di orsi fragolosi ne pieno il mondo, li vedi aggirarsi intorno a te, avidi di attenzioni che spargono cattiverie,  pronti a godere di ogni altrui sconfitta, si sentono realizzati perché nella loro infelicità vedono all’orizzonte un compare,  senza capire che sarà proprio questa mossa ad allontanarli ancor di più da tutti. Sono i fidanzati, mariti o padri che uccidono il loro bene prezioso, perchè sfuggito dalla loro stretta sempre più soffocate non vogliono che sia più di nessuno.
Nel’epilogo l’orso Lotzo riesce a mettere tutti sulla sua barca, e mentre si avvicina all’inceneritore, approfitta dell’amicizia riconquistata degli altri toys per potersi salvare, ma poi all’ultimo gira le spalle e abbandona il carro per essere il solo a vincere, per dimostrare a tutti che lui è il più forte e non ha più bisogno di nessuno. Il finale, come nelle più classiche favole lo punisce, infatti  lo condanna all’inferno, diventando uno degli altri trofei in mezzo ai suoi simili, e  ritorna a pagare di quell’apparenza vuota da rimpiazzare.
I buoni vincono sempre? Siete pronti ad uccidere il Lotzo cattivo che è in voi e vivere pacifici nella società ideale, o meglio abbracciarne a pieno la sua filosofia e tentare la conquista del mondo?
Troppi interrogativi … per un semplice cartone animato…

Let go to the bus surfing competition!


Che bello quando la città incomincia a svuotarsi; presa dalla desertificazione dei 40 gradi preserali tutto è inerte e lento, immobile e molle, il traffico è congestionato per i mille lavori e le poche auto degli sfigati che ancora si trascinano in ufficio procedono a passo d’uomo vedendo i semafori come miraggi, tanto che paradossalmente chi si muove in bici arriva a casa prima di tutti,  schizzando ( davvero da tutti i pori) tra un cartello di rallentamento e un tir in doppia fila.

Tutto è così pigramente stanco, tutti tranne una categoria precisa ovvero gli autisti dell’ATM.

Loro con il piedino vispo e sempre pronto all’accelerata, schiacciamo frenetici i pedali quasi per forzare le corse, come se potessero tornarsene a casa prima.
Milano, metà luglio ultima frontiera: strade deserte ma sulla 92… il mondo:  bambini che si riempiono di gelato mancando miseramente  le fauci, vecchiette con il bastone che vanno a caccia di ditoni resi vulnerabili dalle calzature estive e signorotte con sacchetti stracarichi di ghiotti bottini conquistati in estenuanti rondò di saldi, traballano  urlacchiando su tacchi a spillo di 12 centimetri (neanche fossimo a Milano marittima).

In tutto questo circo mirabolante, una costante accumuna i poveri avventori di bus,  la sequenza magica che ormai è diventata il fantastico sport estivo 2010; ovvero: accelerata, frenata sgommata e via… una pallina di gelato alla fragola  plana  sulla maglietta della signora a fianco , altro metro e di nuovo…accelerata, frenata, clacson e sgommata e parte lo slippino leopardato dal sacchetto di intimo a metà prezzo, 2 minuti e la storia si ripete,  questa volta schizzano falangi a destra e a manca mietute sotto la farce della vecchietta in precario equilibrio.
Mentre la nostra cara sindachessa si cruccia per far rientrare Milano nella minuscola scatola del MONOPOLY
(spezzettandola e smangiucchiandola di qui e di là) a dir su perdendo soldi e nottate di sonno, la città si sfalda sotto il caldo e per la forza distruttrice dei trapani, mentre noi scopriamo attoniti di essere stati segretamente iscritti al campionato di bus surfing…

rEstate a Milano, intrattenimento sole, saune e..sport gratis o alla modica cifra di un eurino…

Come si fa a non votare per la propria fantastica, talentuosa, affascinante città , io l’ho già fatto fallo anche tu …fai diventare la nostra sindaca …la sindaca del monopoli…finalmente potrà occuparsi a tempo pieno solo di quello!
 
Ehm…ma non era questo lo scopo?

Mentre Robert Kennedy III va in canoa sul Lambro...

Questo lavoro mi sta pericolosamente anastetizzando il senso critico, mi assorbe così tanto (energeticamente e meccanicamente) che mi rimane pochissimo tempo per farmi un frullato di notizie, carpite qua e là, da giornali online, post di facebook, amici, colleghi, settimanali cult e da telegiornali di regine quanto basta per inocularmi una razione di realtà esterna.
Così spilucchio un po’ e so ad esempio che; in sei mesi in Messico sono stati uccisi 59 giornalisti nello stesso periodo dello scorso anno erano 53, che Brancher dichiara di volersi dimettere , e che qualcuno di eccelsamente potente da' la sua benedizione, giusto per evitare polemiche; che tra questo personaggio e un altro dal nome fine…ma dai meno fini scopi è ormai divorzio, vogliamo sapere chi pagherà gli alimenti e soprattutto chi avrà l’affidamento della prole,  che ben 4233 persone si sono riversati per le strade di Seattle travestiti da morti viventi,  la stessa scena si ripete ogni sera verso le 6.30 quando sfatti e provati dallo sbalzo termico passiamo dalla surgelazione dei nostri uffici al forno di una Milano impietosa.
Ora so che allo spazio Oberdan c’è stato Emanuele Filiberto ad inaugurare festante una mostra sui suoi cimeli i famiglia, tra un olivetta e un cetriolino il rinfresco ha riscosso un successo regale.
Leggo che in Finlandia dal 1 luglio internet è un diritto, da noi è un lusso-droga-unica salvezza per carpire reale informazione e semi libera circolazione di idee, a New Delhi si protesta e si ci fa arrestare a centinaia per essersi opposti al rincaro esagerato del petrolio, e che nel Golfo del Messico la popolazione può avverare il sogno di fare letteralmente il bagno dei milioni di milioni di miliardi. Che desiderare di più??

Mentre finisco di sorbirmi questo beverone indigesto mi domando: non era meglio non sapere?

Quel 2-3 difficile da digerire...

La parola di oggi è decisamente: sconfitta.
Mentre tutta alla penisola piangeva la bruciante delusione per l’uscita della squadra nazionale dai mondiali, il Paese vero si preparava a scendere in piazza e manifestare contro manovre di governo che minano nel profondo un’ Italia già di per sé mutilata, tradita e affamata.
La sconfitta è doppia perché alla rabbia per la penosa figura che gli azzurri hanno fatto davanti al globo tutto,  si potrà subito porre rimedio con la cacciata dell’allenatore infame e inefficiente, che ammettendo prontamente la sua incapacità se ne’ tornato a casa fischiettando beffardo un waka waka liberatorio, mentre  l’allenatore vero, quello del paese per intendersi,  non si potrà sostituire così facilmente (… temo ne’ ora ne’ più avanti).
 E quindi oggi afflitti e stanchi, provati dal lavoro arretrato e del tempo perso per guardare il penoso tentativo di sfida di ieri, siamo stati inchiodati alle nostre scrivanie senza sosta proprio come tanti soldatini meccanici, un po’ scocciati sul finire della giornata per quello sciopero dei mezzi che ci ha fatto tornare a casa in autobus carro merci e metropolitane sudate.
Ma forse è stata solo una barzelletta , l’Italia alla fine la partita l’ha vinta e presto gareggerà con l’Argentina la finale,  chi perde si prepari ad crisi tremenda …
Ok, per questo … mi sa che tutte  e due le nazioni hanno già dato!
Ma è solo un sogno?
…un brutto sogno!

imbastisco un discorso...


La parola di oggi è taglia e cuci..bè non è proprio una parola, ma spero me lo concediate.
Al lavoro abbiamo tutti un nuovo obiettivo in queste ultime settimane:  lavorare a capo chino per arrivare alle 500 pubblicazioni a fine mese; non importa che siano di pugno nuovo alla gara concorrono anche i testi rimaneggiati, ricuciti, saldati ed imbastiti, la cosa fondamentale è che siano tanti e siano infarciti di link funzionanti e keyword significative, il resto è un opzional o quasi. Ed eccoci qui dalla mattina a pomeriggio inoltrato, come dei sarti semi esperti a tagliare frasi di là, ricucirli di qui, sferruzzare titoletti e didascalie, insomma delle vere opere d’arte sartoriali che quasi sicuramente non leggerà mai nessuno…sob!
Certo c’è sempre da imparare,  si entra in contatto con mondi nuovi, merci strane e servizi a dir poco esotici, affrontando persino le tematiche esistenziali più estreme, così in un sol giorno affronti la vita e la mote e  ti ritrovi a scrivere di sessuologia e disfunzioni erettili ( ovviamente curabili in 2 o 3 mila sedute di ipnosi medica) e di cofani full optional,  a doppia mandata con inserti in legno massello per un trapasso di classe, e poi di scaffalature per tutti gli usi, di tutti i materiali mai fabbricati e dalle fogge più versatili e funzionali.
 Le ditte ovviamente sono sempre di grande esperienza, il personale e altamente qualificato e il servizio puntuale e professionale “ Siamo a vostra completa disposizione per preventivi gratuiti e per venire incontro a tutte le vostre esigenze … proprio tutte?”.  Il mio collega A. ieri ha detto con aria sconsolata e mesta che siamo gli operai della parola, ed è proprio questo che intendevo con “parola in vendita”. 
Siamo in tanti qui in ufficio, siamo giovani, simpatici e molto bravi. Abbiamo una laurea specialistica, quasi tutti esperienze pregresse in redazioni giornalistiche o televisive, abbiano tutti un blog, abbiamo gusti culturali quasi radical chic, collaboriamo con siti per cui scriviamo post a cottimo e molto spesso anche a gratis, e tutte le nostre parole, quelle migliori, le fantasiose, i nostri pensieri edificanti, quelli che animano  storie e paragrafi ben scritti li riversiamo lì, in quell’angolino di sogno che ci è rimasto, tra un caricamento e l’altro,  una commissione assurda che sicuramente anche domani ci capiterà  e che noi confezioniamo intrufolando qua e là qualche perla letteraria, un pizzico di poesia, e un tocco di creatività furtiva e malandrina.  Perché la parola è soggetta ad una tariffazione oraria, ma i nostri pensieri …quelli “belli” li regaliamo abbandonandoli in giro…

la vanità delle illusioni...

Siamo a giugno inoltrato ma la stagione tarda a decollare, oggi il cielo brumoso carico di nuvole minaccia acquazzoni rabbiosi, il gazebo sul terrazzo di fronte a casa mia contornato dalle siepi incolte sembra quello di un villaggio turistico, mosso dal vento a fine stagione, e all'orizzonte si ha quasi l'illusione di scorgere il mare grigio increspato di onde cattive, ma siamo a Milano e l'afa oppressiva non ha nulla a che vedere con il profumo di salsedine e sabbia. Sarà perché tutta la settimana si sta chiusi in uno scantinato con poche fineste a scrivere senza alzare mai la testa, sarà perché si sognano le vacanze vicine, ma troppo brevi, ma un po' di malinconia mista ad uno strambo stato di smarrimento spinge a pensieri dissonanti e allucinazioni romantiche. Metto su un cd con lo stesso mood e mi abbandono alla pioggia che presto cadrà, in questo sabato milanese che nella mia mente è una giornata di fine settembre al mare!


...e a volte ne' basta un sola!

Bè ovvio la prima parola, quella innaugurale non poteva che essere proprio: parola!
Sì , ok starete pensando “che fantasia, una geniaccia" vero?!

Seriamente ...voi come vi esprimete? No non è retorica e ora vi spiego perché: l’ultima sparata dei sociologi è che la generazione attuale ha perso quasi totalmente l’uso della parola scritta, come se i “giovani d’oggi” non fossero più interessati alla comunicazione verbale, ma ghiotti di immagini da scattare con il telefonino, pubblicare su facebook o condividere nei vari media riuscissero ad esprimersi solo in modo iconico, primordiale ma tecnologico. Bah? Sarà? Allora come mai quasi ognuno di noi ha un blog, o lascia in modo puntuale post e commenti ovunque e soprattutto in ogni momento? Quest’ansia di raccontarsi, farsi conoscere, spiare e forse un po’ capire dagli altri allora cos’è? E’ come si esprime se non con la parola, rafforzata con l'immagine, ovvio, perché alla fine siano cresciuti a pane e “tivi” come direbbe Homer Simpson e ormai per credere dobbiamo vedere, "tommasianamente" parlando!
Io alla scrittura sono affezionata, anzi sono quasi "addict" come va' tanto di moda dire adesso. Alle elementari la mia maestra mi stimolava alla scrittura con temi dai titoli patriottici e fantasiosi, (era della vecchia guardia) ci faceva raccontare ogni cosa di noi e poi ci giudicava in base alla nostre idee e al modo di guardare il mondo, più eravamo curiosi e svegli più ci apprezzava e questa era la cosa più bella che potesse insegnarci, a raccontare il nostro mondo intendo, con parole nostre, magari travisandolo un po’ la realtà, ma non era quello l’importante.
 
Sul fatto che si sia perso il linguaggio arcaico, tradizionale, quello del corretto italiano non posso che dare ragione a chi studia i “tempi moderni”, ma è anche vero che la nostra è una lingua viva e per questo mutevole, specchio della società che la pratica. Così non è tanto inusuale sentire in ufficio termini favolosamente evocativi come “sbatta”, “caldazza”, o quelli pseudo international come “editare”, “postare”, “costumizzare”…frutto della nostra voglia di accogliere termini presi dall’inglese “professional” però italianizzandoli per rendendoli più nostri.
 Oggi più che mai la parola è al centro di un dibattito accesissimo; soprattutto è la libertà di utilizzarla che spinge a ribellarsi alla così detta “legge bavaglio”,  che la parola vorrebbe tagliuzzarla, limitarla e molte volte soffocarla o peggio sostituirla con quella meno pericolosa, la  temutissima
parola asservita. Ma questo è un argomento spinoso, a cui va dedicato molto più spazio.
Tornando ai bravi sociologi e al loro dibattito, la verità che si nasconde dietro la loro teoria è un' altra: quello che si sta via via perdendo, infatti,  è sì l’uso della parola scritta, ma come la intendiamo noi, ma quella che viene meccanicamente prodotta di nostro pugno con quello strumento efficientissimo ma ormai obsoleto che è la penna.
Avete provato di recente scrivere su carta qualcosa che sia più lungo della lista della spesa settimanale?

Provate…e poi fatemi sapere! :P

il primo post è sempre il primo post!

Eccomi qua, nuovo blog, primo post!
Devo dire che l'inizio mette sempre un po’di soggezione, forse perché non sono ancora pratica, non conosco bene il luogo e i vicini sono quasi tutti sconosciuti, insomma mi devo ambientare come in una nuova casa, ma poi rotto il ghiaccio sono sicura che andrà tutto liscio e acquisterò la naturale non chalance!
Nel frattempo benvenuti...a quello che è un piccolo esperimento, mi piacerebbe, ma sono sicura col tempo la cosa si trasformerà, sfuggendo al mio controllo, scegliere ogni giorno un parola, a caso o no, tratta dalla cronaca, da quello che mi è suggesso durante il giorno, che ho sentito o letto.
Una parola, una sola da cui prendere spunto, da conoscere e sviluppare. Potrete suggerirmela anche voi ( emh mi raccomando parole, non parolacche! che malfidata)
A me sembra interessante come cosa...no?
Ok, mi sa che mi sto dilungando troppo, quindi per ora passo e chiudo! ( come sono obsoleta!).

La vita vista da un altro angolo.

La vita vista da un altro angolo.Siamo appena tornati da un viaggio, breve ma intenso. Iperconcentrato e concitato direi. Per la prima volta ho compiuto gli anni in un altro paese, non il mio. Lontano dalla mia città natale Milano. L’ho tradita per un’altra Miss sempre con la M come iniziale: Madrid.
Quando si torna da un viaggio si è sempre un po’ scombussolati, non parlo di jet leg o cose simili, parlo delle percezioni che si hanno al rientro, di tutto quello che ci circonda, di noi stessi. Io vedo Milano più bassa. I palazzi a Madrid sono molto più alti, maestosi, le vie strette si alternano a viali ampi. Il deserto della mattina, si trasforma in fiumana la sera. Qui sono due passanti e una manciata di auto ad accogliermi il lunedì sera. Anche io sembro un po’ cambiata, mi sento un po’ più matura, o consapevole. Non proprio più vecchia, ma meno disincantata? Boh, forse è un pensiero passeggero.  È normale meditare sulle differenze al ritorno di un viaggio, lungo o breve che sia.  I milanesi sempre di fretta, i madrileni placidi e lenti. Saremo anche perennemente ossessionati dal lavoro, ma a differenza degli spagnoli se un turista si perde noi cerchiamo di indicargli la via, ho detto cerchiamo perché spesso non conosciamo nemmeno l’isolato dove lavoriamo da ormai un anno. La vita, vista a chilometri di distanza da qui è un'altra, ma non proprio diversa. I ritmi tutti sfasati, le abitudini, la lingua. In altri posti che ho vistato non ci avevo mai fatto caso. Forse perché praticamente ci siamo addormentati a Milano e svegliati lì, sembrava un po’ diverso come nei sogni dove sai che non è totalmente vero, ma rimani perplesso su ciò che stai vivendo. La vita vista da un altro angolo è saporita ma ha un gusto che non è proprio quello che preferisci ma è apprezzabile (come la frittata madrilena). Ha un profumo che ti stordisce e confonde, come quello fiorito e fresco indossato delle spagnole. Ha i suoni trascinanti a cui però non ti abbandoni totalmente. Ha un linguaggio simile al tuo, ma ambiguo e traditore per alcuni versi.
Questo viaggio mi ha lasciato la sensazione disorientante di non sapere se ripartire o restare. Forse meglio stare ancora un po’ qui a contemplarsi e a contemplare gli altri, ma con gli occhi ancora affascinati dall’arte di un altro Paese. Sarà quello a spingerci a partire di nuovo?

L’origine del mondo ovvero l’imbarazzo del tuo sguardo.


Con un certo pudore ci si accosta alla tela, l’imbarazzo è tale da rimanere un po’ increduli, turbati per aver intravisto qualcosa di privato, sfacciatamente esposto, incautamente svelato. Eccolo lì, nella sua carnalità vivida, nei tratti veritieri. Perché verità, infatti, sembra urlare. Eppure la paura si trasforma in sdegno, il pudore educato in insulto. Corpo di donna viva, l’origine del mondo e della vita. Il quadro di Courbet recentemente esposto al Mart di Rovereto scandalizza a un secolo e mezzo di distanza. Intimorisce o sconvolge? In un mondo popolato da cartelloni ammiccanti, pubblicità estreme, bombardamenti televisivi strabordanti di cosce, seni, sederi, può un quadro, racchiuso per altro in un museo far così scalpore? Che fosse realmente il fine di quest’opera lo sconvolgimento o meglio il tripudio di verità, la sincerità serena di chi in pace con se stesso, non ha nulla da nascondere, anzi si mostra spavaldo celebrando la sua importanza.

Sarà perché ora il tema femminista torna di cronaca molto più spesso, sarà perché rincominciamo a rivendicare i nostri diritti e la dignità del corpo, ma da donna non mi sento sconvolta per il soggetto, un po’ imbarazzata nello sguardo forse, ma sicura del suo significato, di quello che può realmente significare un’immagine forte come questa.

Da un lato ci indigniamo per l’astuto trucco esercitato da alcune donne per conquistare carriera e denaro, quel mezzuccio frequentemente sfoderato, a cui i maschiuncoli di potere (e non) abboccano, d’altro gridiamo l’importanza, la consapevolezza e perché no sacralità di questo corpo.
Il corpo quindi o quel che c’è oltre ad esso? Il vero concetto su cui fissarci sta nel titolo dell’opera. La dichiarazione proclamata che va oltre la fisicità. Quella rappresentata non è meramente una vulva di chissà quale burrosa modella sconosciuta, ma è l’origine di tutto, è la porta della vita. Forse è questo che spaventa, il potere disarmante che racchiude è lo stesso che suscita quell’invidia tragica, che si nasconde subdola sotto il moralismo più scontato.

Per apprezzare questa e altre opere: Mart, La rivoluzione dello sguardo. Capolavori impressionisti e post-impressionisti dal Musée d’Orsa.

L’origine del mondo ovvero l’imbarazzo del tuo sguardo.

Da qualcosa bisogna pur iniziare.

Da qualcosa bisogna pur iniziare.Riguardo il mio curriculum, lo leggo attentamente e faccio le mie considerazioni, mi metto a pensare se sia interessante includere maggiori particolari e poi arrivata alla fine - che in realtà è l’inizio in ordine cronologico della mia esperienza - mi accorgo che manca molto altro, qualcosa di importante per me che però sicuramente chi mi deve scegliere e selezionare nel supermarket del lavoro non leggerebbe.
Dovrei scrivere che dalla quinta  elementare fino alle medie ho fatto da baby sitter alle mie cuginette, siamo cresciute insieme e quando le tenevo in braccio per farle calmare e non ci riuscivo pensavo al compito di matematica che tanto non sarebbe andato bene. E poi che il giorno del diploma di maturità, il pomeriggio stesso sono corsa a iscrivermi a scuola guida e a distribuire lettere di presentazione. Quell’estate passata tra test d’ingresso per l’università e i giocattoli del negozio (diabolico) per bambini non posso davvero scordarlo. A seguire, il giro dei call center: le telefonate fino alle dieci di sera ascoltando la gente raccontare di se e delle proprie paure, non ho venduto molti modem o incrementato le statistiche su consumo di pomodori da sugo in scatola ma, ho imparato molto sulla solitudine e i suoi guai.
E poi è arrivato il favoloso periodo dell’università, la laurea triennale e quella specialistica, le estati e le domeniche non impegnate dallo studio le passavo tra i banchi di una profumeria chic di Milano, non come quelle di adesso, ma un vero e proprio circolo di bellezza, dove le clienti ti cercano e si aspettano da te un miracolo. Non la ricetta per l’eterna giovinezza, ma la tua considerazione e attenzione. Tra nuvole di profumo, lipstick scintillanti ho scoperto la magia di un semplice velo di fard e il trucco segreto per fissare il rossetto. I tacchi alti mi uccidevano ma tra chiacchiere e confessioni la giornata passava veloce.  Poi ci sono stati i matrimoni e quel capodanno improvvisandomi cameriera in un agriturismo, la paga era davvero bassa e non so cosa mi è saltato in mente, forse ho accettato per provare a me stessa che sapevo fare anche quello senza preoccuparmi della fatica o di sporcarmi le mani.
Da qualcosa bisogna pur iniziare, forse proprio dalla voglia che ti spinge a fare. L’intraprendenza che non ti lascia con le mani in mano, quell’energia che ti porta a superare i tuoi limiti, quella che ti serve per conquistare il tuo ruolo. Ogni piccolo tassello, ogni insignificante passo è parte di te, del tuo cammino di formazione in continua evoluzione. Da ognuno di questi lavori omessi nel mio Cv ufficiale ho imparato una lezione importante, qualcosa di prezioso che mi ha portato a essere ciò che sono adesso. E per questo che non salterei nemmeno un passaggio.
Sicuramente però, soprattutto nell’ultimo episodio, patteggerei una paga migliore, o almeno esigerei di tenere le mance! ;)
 

Il ruolo e il sogno.

Il ruolo e il sogno.L’altra sera tornando a casa dal lavoro ho per caso sbirciato dentro una vetrina, era l’interno di un ristorante ancora vuoto. Il cuoco indossava il classico cappello e sedeva rilassato a un tavolo con il capo inclinato reggendosi con la mano, sembrava annoiato. Guardava fuori, in modo speculare a me che guardavo dentro, ma lui forse non mi scorgeva affatto. È stato un lampo, un frame, che mi ha fatto pensare ai ruoli, alle divise che indossiamo, a ciò che rende riconoscibile il nostro status sociale.
Il cuoco aveva il cappello a fungo, un po’ calato sulla fronte, come nei film, ora che ci ripenso mi viene un dubbio: il cappello c’era o era solo un’astrazione della mia mente?
Quando mi aggiro per le strade, la mia divisa è o non è riconoscibile, ricollegabile alla mia professione. I ruoli, fittizi o reali ci ingabbiano e condizionano?
Quando qualcuno mi chiede che lavoro svolgo, cerco di ricreare nella mia testa un’immagine confortante e chiara per illustrare la mia professione ma ogni volta non ci riesco, e faccio casino. Mi riparo sotto un nome, ma anche questo è equivocabile e ambiguo. Così se dico copywriter pensano a qualcuno che copia testi da qualche parte o che addirittura si occupa di diritti d’autore (copyright), se invece scelgo il termine web editor pensano a qualcosa d’informatico, in modo poco precisato.  Allora dico semplicemente: “Io nella vita scrivo”. Loro mi rispondono: “ E …ti pagano?”. Non replico e sorrido in modo imbarazzato.
Delineare le professioni oggi è molto complesso, i nuovi nomi stranieri non aiutano. La nostra formazione nemmeno, la convergenza di abilità e canali rende tutto nebuloso, ma forse ai fini reali è meglio così.
Bisogna saper fare tutto, ampliare le proprie abilità, non fossilizzarsi nelle etichette. Ecco il non essere etichettabili ha vantaggi e pregi, sta nella persona giocare bene, dosando parole in modo furbo.
I punti di vista cambiano la percezione; così mi domando se il cuoco scorgendo la mia figura, abbia riconosciuto in me qualcosa di preciso. Al di fuori io mi vedo ancora una studentessa, magari un’universitaria “attempata”, forse mi fa comodo pensare alla mia immagine così, congelata in un tempo felice e ancora in divenire. Perché forse è proprio questa la verità, siamo ancora in bilico tra quello che abbiamo iniziato a fare e quello che vorremo essere. 
Alla fine mi scopro a fantasticare che forse il cuoco era un attore, che in quell’interno si stava girando un film, la telecamera nascosta ero il mio occhio. Ed ecco i miei sogni che prendono il sopravvento di nuovo, si risvegliano da quell’angolo ancora vivo ma sepolto dentro di me, quello che da grande voleva diventare regista, e che ogni tanto mi fa sorridere teneramente ancora.  E se l’attrice fossi stata io?

Donne con la valigia.

Donne con la valigia.


Claudia Cardinale, La ragazza con la valigia. Valerio Zurlini, 1961.



Cos’è che ci spinge al viaggio, cosa ci porta lontane dalle nostre case, affetti e città? La routine? O la voglia di arricchirci?  Valore archetipo per eccellenza ricorda il percorso dell’eroe da fanciullo ad adulto.
Il desiderio di provare a noi stesse che anche da sole siano autonome, smettendo di pensarci come la metà o un pezzetto di qualcosa, ma solo noi nella nostra individuale completezza.

E’ lontano il tempo in cui, il “sesso debole” desisteva da allestire bauli e pacchetti perché la famiglia non lo permetteva, perché era troppo pericoloso, quasi scandaloso che si allontanasse dall’autorità paterna, dal suo amorevole controllo.

Abbiamo superato la paura di girare e uscire da sole, quella di prendere un aereo, quella di dire: “ Ho bisogno di prendermi un po’ di tempo solo per me!”
Vado via ora per tornare non diversa ma migliore, ancora di più … più di ora.
Sia chiaro, partire non vuol dire scappare, ma prendere posizione su se stessi e il proprio sviluppo personale.  La fuga prevede la pavidità, va a braccetto quasi sempre con la vergogna, e con la mancanza di responsabilità. La fuga è un misto di paura e immaturità.  Il viaggio è tutt’altro. L’esatto contrario, anzi. Che sia una donna a farlo, chissà perché, amplifica il tutto.

Chi non l’ha già fatto forse dovrebbe considerarlo, chi ha ancora un blocco (io ad esempio) dovrebbe superaro.  Per partire ci vuole determinazione e coraggio, ma anche un pizzico di egoismo e il brivido dell’azzardo. Quel mix d’ingredienti che al momento mi manca.
Liberarsi dal timore di lasciare temporaneamente i nostri genitori; sono adulti e riescono a cavarsela da soli.
Fidarsi del proprio partner, e soprattutto credere nella forza del reciproco sentimento, testando noi stessi nella lontananza.

Corazzarsi, armandosi di tutto il nostro valore e la nostra stima, racchiudendo tutto in pochi centimetri su rotelle.
Le ragazze con la valigia sono queste.
Lasciano il loro posto fisso per avere l’ardore di sognare ancora, salutano tutti e partono, lasciando in tasca le lacrime e alzando la testa verso il futuro.

Il valore di un no.

Il valore di un no.Amo  le persone che mostrano entusiasmo in quello che fanno, io penso di esser una di quelle. L’approccio alla vita è completamente diverso; l’eccitazione provocata dalle piccole cose, quei brevi  passaggi e i  frammenti che danno lo stimolo al fare.
La passione a me per esempio mette un pizzico di ansia, all’inizio è quasi paura, ma poi una volta arresasi ad essa, si ci accorge di come metta in moto tante cose, tanti mondi che si aprono, slanci che magari si trasformano in altro dal progetto iniziale. Una nuova sfida, che ti fa intravvedere il barlume dell’inatteso, un flash, un parola. L’entusiasmo del fare, sia sul lavoro sia negli affetti, il non lesinare nulla, darsi anche se la maggior parte delle volte si rimane bruciati.
E l’entusiasmo nel NON fare una cosa? Ribaltando la prospettiva il senso può cambiare?
Io sono entusiasta di non acquistare più prodotti lesivi per la mia persona o per l’ambiente, leggo le etichette e non compro più d’impulso, è una battaglia ancora aperta, ma si va verso la via della saggezza. Sono entusiasticamente soddisfatta di non essere troppo condizionata dalle marche, sia nel cibo sia nel vestire, se reputo che una cosa è di valore, piccolo o grande che sia, la acquisto perché non sempre vale la regola del caro=migliore.
 Il valore di un no è davvero potente. Appartengo alla categoria di chi afferma il suo no davanti ai compromessi, ai favoritismi , alle spintarelle, perché se è vero che lo fanno tutti allora dovremo essere tutti sistemati, ma non sempre la raccomandazione sprovveduta paga.
Provo un grande entusiasmo nel non fumare, viziaccio stupido, che se compreso è solo una menzogna che ti rapina della salute e del tuo denaro. Io sono entusiasta di non appartenere a fascio di bellone che vanno avanti perché sono solo quello o perché gli uomini affamati si accontentano solo di quello. È triste e svilente,  non è un comportamento corretto non nei confronti dell’universo femminile, ma in senso meramente umano.
C’è chi si appassiona a cose che non condivido, il non pensare mai al domani, vivendo alla giornata, sarà più facile e bohemien, ma è da irresponsabili egoisti.  Non comprendo fino in fondo chi si  proclama festosamente entusiasta di non festeggiare San Valentino e i compleanni, tutta questa superiorità e austerity mi puzza di carenza affettiva e cocente delusione. Molti si appassionano ad uno stile di vita alternativo, dicendo no alla carne, e si proclamano bio, anche se poi una buona parte di essi si abbandona alle multinazionali assassine.

Il no è senza dubbio più convincente del sì nell’affermare se stessi e le  proprie convinzioni. Per dire di no, infatti ci vuole coraggio e animo forte. Ammiro chi ad esempio non utilizza i social network escludendosi  con orgoglio da post, tweet e tag, davvero una scelta coraggiosa ed encomiabile, quasi monacale. Ma sono convinta che a breve molti cadranno preda della rete e si tramuteranno in  facebookiani spammatori di cuoricini e frasi di Fabio Volo, il biscotto della fortuna diventerà il loro faro.

Altri affermano la loro negazione partecipativa scagliandosi contro l’e-book e il sapere digitale,  il piacere della carta, il suo odore, il legame tattile e materiale con l’universo  intellettuale è per loro imprescindibile, in parte anch’io mi riconosco in questa categoria, ma farei volentieri eccezione per i quotidiani e le riviste, un tablet sarebbe proprio l’ideale. Mio padre apparteneva alla categoria degli entusiasti non utilizzatori del bancomat, ma l’assegno è obsoleto e ha dovuto ricredersi.

Il No che risuona forte in questi giorni è quello che sa di libertà, e viene dalla Tunisia, Cairo, Libia, Bahrain, il “no io non voglio vivere così “, è forte più di tutti i sì detti affamando un popolo.

La passione, l’emozione è ciò che muove le nostre vite, l’apatia , il non schierarsi ci esclude dal gioco. Anche affermando la nostra non appartenenza a certi contesti o comportamenti possiamo imprimere e lasciare una traccia. Rivalutiamo il valore del no, ma con coerenza e determinazione. È una missione difficile, ma sono sicura che una buona percentuale trionferà!

...la neve dal cielo...


Anche quest’anno Natale bussa insistentemente alla porta, visto il freddo che fa, la neve, gli autobus che latitano ...


Ci siamo stupiti nel vedere le prime luminarie apparire a fine ottobre, i panettoni appollaiati sugli scaffali dei supermercati poco dopo e via ...sono sbucati i decori gli alberi e le strade dello shopping sono diventate infernali (più del solito) nastri di gente imbacuccata che si annoda e s’intreccia fuori e dentro i negozi, spintonando e sospingendosi a vicenda fino alla meta successiva. 

E anche quest’anno sono indietro con i regali e non avrò tempo di sceglierli in modo sensato, mi darò al panico la vigilia, correndo da un capo all’altro della metropoli intasata, saltando tra un tram e l’altro senza fiato.


Ci sono cene da pianificare, pacchetti da confezionare, dure sessioni di tetrix per incastrare tutto alla perfezione, acrobazie circensi e video conferenze per non scontentare nessuno.


Chi capisce il dramma non si arrabbierà per il regalo in ritardo, la taglia sbagliata, il solito pigiama e la cravatta, il bigliettino fai da me, la carta riciclata e il fiocco di due anni fa.

Giorni convulsi, bilanci e speranze per il Natale troppo breve e un anno nuovo che freme.
Le cene da 800mila calorie, che vanificheranno gli sforzi di un saggio di danza estenuante fatto di prove inutili e costumi ridicoli, quei 3 minuti di gloria effimera, tanta fatica ma un bel sorriso soddisfatto sul viso...almeno questo è fatto!

L’altra sera mentre tornavo a casa ho visto che qualcuno abbandonare la sua pedana vibro massaggiante davanti al marciapiede, lasciando incustodita la sua vergogna,  in balia dello sguardo curioso di tutti, ha dichiarato resa alla ciccia di troppo, o forse era un regalo dell’anno prima, uno di quei pacchetti-buoni propositi-compromessi in cui si cade…

Che sia il giusto monito per non commettere lo stesso azzardo quest’anno??

La bellezza del caos, ovvero il leone, il boccaglio e l’armadio…

La bellezza del caos, ovvero il leone, il boccaglio e l’armadio…Ok, lo ammetto sono un po’ disordinata, la mancanza di tempo, la pigrizia e il fatto che a casa ormai ci sto solo per dormire ha reso la mia camera una piccola Chernobyl , apocalittica quanto basta per renderla quasi un installazione post moderna, si dice che l’ordine e il genio non vadano d’accordo, se fosse così ultimamente sarei Einstein anzi per fare un esempio più attuale una Margherita Hack o una Rita Levi, fatto sta che la mia è la stanza dove vanno a morire le scarpe, ne ho valanghe, estive, da ginnastica, col tacco, da neve prima erano assopite in un angolo, per pudore le stipavo sotto il letto (d'altronde la scarpiera è talmente esigua che riesce a dare asilo solo a pochi esemplari pressoché spaiati)  ora hanno preso coraggio e sono praticamente in bella vista.

Oltre a quello le borse, mia vera ossessione da sempre, sono appese a ogni trespolo o simil arnese disponibile, leggi spalliera del letto,  poltrona, maniglia della porta e finestra.
Il mio armadio poi è simile a quello di Narnia, aperte le antine basta scavare un po’ per trovare un mondo fatto di vestiti che pensavo di  non aver mai comprato, di cui avevo affisso il cartello  “wanted” due stagioni fa.

L’altro giorno ho ripescato un cardigan blu attualissimo e un paio di stivali che non si chiudono aimè,  ma che presto riadatterò,  insieme alla maschera col boccaglio che ho tanto cercato quest’estate, e che ogni anno perentoriamente riacquisto, ora so di averne almeno 5, 4 ancora disperse, ma preferisco che sia Wikileaks a svelarmi il nascondiglio,  sono troppo impegnata per cercarle :P