Quando l’aria fuori si fece più mite Dorotea uscì dalla porta sul retro e si mise a camminare in silenzio sulle pietrone bianche del portico. Arrivò sull’orlo di quello che prima era il suo giardino e si mise a fissare per un po’ l’erba gialla e bruciata dal sole.
L’aria era piena di fumo, sapeva di camino e plastica bruciata. Le avevano detto di rimanere nella sua stanza, così dopo molte ore accucciata vicino alla porta si era stancata di origliare il silenzio e si era decisa a scendere, per vedere chi fosse rimasto.
Il vento si stava alzando e i panni stesi fuori sembravano una donna dai lunghi capelli strapazzata da un amante violento. L’immagine la fece sussultare, così si accarezzo i capelli, in quel gesto consolatorio che ripeteva ogni volta che si sentiva smarrita.
Aveva snodato una treccia, la ciocca a destra del suo orecchio era liscia e fresca, incominciò a passarsela tra le dita e a fissare l’orizzonte rosa e grigio aldilà dello steccato.
In casa non c’era nessuno, nessuno nemmeno in giardino. Aveva aperto la porta della camera al piano di sopra, i letti erano sfatti e l’odore di chiuso l’aveva fatta scappare.
La polvere su tutte le superfici e i mobili di quella casa in legno per un attimo le avevano fatto pensare a uno di quei negozi di robaccia finta antiquariato, anche i soprammobili erano sepolti da una patina opaca e a fatica si riconoscevano i volti nelle cornici.
Dorotea aveva passato tutto il tempo chiusa in quella stanza in attesa che qualcuno la venisse a chiamare, e quando smise di contare tutti i suoi amanti scese e si ricordò di non aver più nessuno da aspettare.
Si fece coraggio, si tolse le sue scarpe rosse, imboccò il vialetto dissestato che portava al cancello d’ingresso, gli diede una spinta e se ne andò.
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