venerdì 7 settembre 2012

Cancellare i ricordi con un tuffo



Quando l’aria fuori si fece più mite Dorotea uscì dalla porta sul retro e si mise a camminare in silenzio sulle pietrone bianche del portico. Arrivò sull’orlo di quello che prima era il suo giardino e si mise a fissare per un po’ l’erba gialla e bruciata dal sole.

L’aria era piena di fumo, sapeva di camino e plastica bruciata. Le avevano detto di rimanere nella sua stanza, così dopo molte ore accucciata vicino alla porta si era stancata di origliare il silenzio e si era decisa a scendere, per vedere chi fosse rimasto.
Il vento si stava alzando e i panni stesi fuori sembravano una donna dai lunghi capelli strapazzata da un amante violento. L’immagine la fece sussultare, così si accarezzo i capelli, in quel gesto consolatorio che ripeteva ogni volta che si sentiva smarrita.

Aveva snodato una treccia, la ciocca a destra del suo orecchio era liscia e fresca, incominciò a passarsela tra le dita e a fissare l’orizzonte rosa e grigio aldilà dello steccato.
In casa non c’era nessuno, nessuno nemmeno in giardino. Aveva aperto la porta della camera al piano di sopra, i letti erano sfatti e l’odore di chiuso l’aveva fatta scappare.

La polvere su tutte le superfici e i mobili di quella casa in legno per un attimo le avevano fatto pensare a uno di quei negozi di robaccia finta antiquariato, anche i soprammobili erano sepolti da una patina opaca e a fatica si riconoscevano i volti nelle cornici.

Dorotea aveva passato tutto il tempo chiusa in quella stanza in attesa che qualcuno la venisse a chiamare, e quando smise di contare tutti i suoi amanti scese e si ricordò di non aver più nessuno da aspettare.
Si fece coraggio, si tolse le sue scarpe rosse,  imboccò il vialetto dissestato che portava al cancello d’ingresso, gli diede una spinta e se ne andò.

giovedì 6 settembre 2012

In her shoes


cadere dai tacchi
La scarpa perfetta non esiste.


È successo ancora, sono passata davanti a una vetrina di scarpe e mi sono lasciata conquistare da un paio di ballerine verdone, un po’ bon ton, con tanto di fiocco.
Erano belle, erano alla moda, erano a buon prezzo. Ora sono mie.
Le ho provate e le ho trovate subito graziose - loro- intorno al mio piedone numero 40. La commessa annuiva, il ragazzo con le fossette mi guardava ormai arreso (conosce bene le mie dipendenze), lo specchio mi restituiva un’immagine piacevole, sofisticata.

Sono bastati due passi per capire che la loro bellezza non corrispondeva alla comodità, ma complice la giornata uggiosa preautunnale e la svogliatezza di un sabato sfaticato le ho acquistate.

È successo di nuovo, l’ennesimo paio di scarpe incredibilmente scomode, sacrificio vano, tra l’altro privo di tacco, nemmeno il vantaggio estetico strutturale di uno stiletto 12 a farmi digerire il sacrificio.

Alla fine ci facciamo rapire sempre dalle cose belle, sappiamo che non saranno tutte rose e fiori ma al momento ci dimentichiamo delle pecche.
Ho talmente tante scarpe che non mi basterebbero 3 vite per consumare i tacchi.

Ora le mie ballerine sono lì, nella scatola. Annoiate ma beffarde, rimarranno nella loro custodia fino alla mia prossima voglia di patimento spirituale e commiserazione fisica, e i miei talloni mi odieranno.

Tutto questo per dire che nelle scarpe scomode siamo abituate a stare, così come affrontiamo ogni giorno quello che non va, pur mantenendo un aspetto elegante e compito. A volte fingiamo sorrisi, allontaniamo la voglia di togliercele appena svoltato l’angolo, di gettare la spugna e correre libere e scalze.

Ci sono giorni  in cui  il percorso  ci sembra incredibilmente difficile, dobbiamo stare in equilibrio sui pietroni belli del centro, saltando da un imprevisto e l’altro con la grazia di una gazzella.

Spesso stare nelle nostre scarpe è una missione coraggiosa, che solo un’altra donna può fare, ovviamente stringendo i denti e ingoiando rospi.

Ma sono certa che nel 50% dei casi (e sono stata gentile) siamo noi a costringerci in scarpe troppo piccole, troppo alte, troppo…

Amiamo il rischio, siamo vanesie e orgogliose quindi non lo ammetteremo mai.